dc.description.abstract | Le divisioni dicotomiche del nostro mondo non sono limitate alla mera
struttura della vita quotidiana, nella quale insegniamo ai bambini a ragionare
in termini di bianco/nero, buono/cattivo, vita/morte, e così via.
Abbiamo configurato il mondo del sapere secondo criteri analoghi, determinando
così il modo in cui diamo forma alla vita, alle professioni e alla
percezione dell’universo. Anche contro la nostra stessa volontà tendiamo
generalmente a pensare alle nostre discipline secondo i parametri di vero/
falso, oggettività/soggettività. Ed eccoci, nel ventunesimo secolo, a volere
ancora – allorché ci confrontiamo con astrazioni scientifiche e teoriche che
ci rendono consapevoli di quelle opposizioni binarie – un mondo basato su
certezze, circondato da muri sicuri e segnali che ci parlano di “oggettività”,
“fantasia”, “finzione”, “sogni”, “reale”, “irreale” ecc.
La scienza e l’arte, la scienza e la letteratura, in quanto ambiti disciplinari,
fanno parte di queste presunte “coppie oppositive”. Da un lato,
la scienza con le sue “verità”, dimostrazioni e realtà; dall’altro, il discorso
umano/umanistico della creazione, con la sua presunta “soggettività”, libertà
e mondi immaginari – forse più vicini di quanto crediamo.
Nuovi campi del sapere della nostra contemporaneità hanno scoperto
il mondo dell’autocoscienza. A un livello teorico alto ciò accade da decenni,
ma nella vita di ogni giorni è difficile ricordarsi che il mondo che vediamo
non è il mondo “reale”, bensì il nostro mondo reale, forgiato dai nostri linguaggi, sogni, modelli, e dalle nostre politiche, regole, scienze e tecnologie.
Mutuando un esempio dalla finzione narrativa, ci siamo abituati a
chiamare “realistici” quei romanzi provvisti di un narratore onnisciente; il
modello della pluralità del punto di vista narrativo, invece, è venuto a dimostrare
nella storia letteraria come la “realtà” non appartenga al discorso
monologico e monolitico, ma risieda nella incertezza e “confusione” delle
versioni multiple di una storia.
L’autocoscienza ha finito col minare il nostro mondo ben strutturato e
compartimentalizzato. Rendersi conto che le rappresentazioni sono soltanto
tali significa riconoscere il bisogno di una certa umiltà, nonché scoprire
che siamo persino più creativi di quanto pensassimo. Questa consapevolezza
è entrata nel mondo sia della scienza che della letteratura (e in analoghi
campi della cultura e del sapere), e mostra risultati sorprendentemente
simili nei relativi discorsi e meta discorsi sulla rappresentazione e la realtà.
L’obbiettivo di questo articolo è tracciare una sorta di percorso attraverso alcuni autori, testi e idee per verificare quanto i rapporti tra letteratura e
scienza siano più ampi del mondo referenziale della fantascienza, pensare
il ruolo della lingua e della cultura nella costruzione di realtà letterarie
socio-scientifiche e vedere come il mondo delle tecnologie dell’informazione
ci mette a confronto con una nuova organizzazione spazio-temporale
nella quale l’incredibile, il fittizio, l’immaginario e il possibile rimodellano
i propri significati per tutti i campi della vita e delle relazioni umane. Le
risposte a domande del tipo “Che cos’è la scienza?”, “Che cos’è la letteratura?”
sono cambiate da secoli. Se oggi tutto cambia più in fretta, la
scienza e la letteratura non fanno probabilmente eccezione. Anzi, sembra
che cambino insieme. | en_US |